I Thirsenoisin

Intanto, in preda a queste riflessioni, era giunto in vista al recinto dove Rumisu si apprestava a liberare  le sue greggi per condurle al pascolo. Lo vide, prima anche che sentirlo, raggruppare gli animali, con quei movimenti e quei richiami che un pastore ripete con la solennità che gli proviene dall’innato costume a dominare le greggi, ma senza violenza o malanimo, quasi con amore, come se animali e uomini fossero una sola entità, sacra e da rispettare. Al contrario del fratello,  Rumisu si era da subito dedicato alla cura delle greggi, con tutta l’anima e con tutto se stesso. Avevano sposato due sorelle e sua moglie gli  aveva già dato due figli, un maschio e una femmina.

«Bentornato, padre!» esclamò quando fu a portata di voce.

No, Rumisu non c’entrava per niente in quella brutta storia. Era rimasto sorpreso anche lui per il gesto del fratello. Gli aveva letto ancora  l’incredulità e la sorpresa nel viso, quando Damasu era fuggito via, e lui finalmente, passato

quel drammatico istante, si era reso conto di tutto e si era guardato attorno, per vedere se il pericolo fosse cessato con la fuga del suo mancato assassino.

«Grazie figlio mio. Mi aiuti a scegliere due caprette da immolare agli dei delle acque per richiedere  la guarigione di Elki? Sceglile tra le mie, naturalmente.»

«Se permettete, padre, vorrei sceglierne due delle mie. Voglio offrirle io in sacrificio.»

«Sì, certo! Agli dei piaceranno doppiamente!» assentì con intimo giubilo Itzoccar. «Mandamele con uno dei servi alla residenza dei sacerdoti, giù al pozzo sacro! »

«Sarà fatto!»

«Vienimi a trovare coi tuoi figli quando sarai rientrato dai pascoli!»

«Va bene» rispose Rumisu salutando il padre, che subito si avviò in direzione del pozzo sacro.

La discesa dello Spirito Santo

La sera di quello stesso

Giorno, il primo passato

Il sabato, inserrato

Per timore,  il consesso

Dei discepoli stava,

Dei Giudei, allor quando

Gesù si manifestava

A lor così parlando:

“-Pace a voi” E mostrò

le mani e il  costato.

Come il Padre mi ha mandato

Così vi mando”. Alitò

Gesù, quindi  disse ad essi

Gioiosi e stupefatti

-“ A coloro  cui i  peccati

rimetterete, rimessi

saranno. E non rimessi

a quei cui non li avrete

rimessi.” Di ciò messi

li fece. “ E ricevete

ora lo Spirito Santo”.

Ma avvenne che Tommaso

Del fatto non persuaso,

quando i colleghi vanto

menaron d’aver visto

il Signore Gesù, disse:

-“ Non credo che chi già visse,

viva ancor, se il mio dito

non metto e le ferite

dei Suoi chiodi non vedo”.

Dalle cose riferite,

dopo otto giorni, credo,

ricomparve a porte chiuse

Gesù nello stesso luogo

Con l’autore dello sfogo.

A lui le piaghe dischiuse

Mostrò. Ed egli disse: “Mio

Signore Cristo Gesù

Maestro e amico!   Tu

Sei il Signore mio Dio”!.

-“Beato chi avrà fede” –

diss’Ei – “  non avendo visto

e  pur col cuore crede,

chè avrà la vita in Cristo!”

LA RESURREZIONE DI GESU’

Giovanni! Pietro! Correte!

Gesù L’han portato via

Dal Sepolcro! Conoscete

Voi due ”  gridava Maria

Di Magdala concitata

dove l’abbian portato?”

Corsero a perdifiato

Per la discesa sterrata

I due interpellati.

Arrivò primo Giovanni,

ché lento era di più anni

Pietro. Ma abbandonati

Erano i sacri teli

Che le membra avean strette

E ‘l sudario qual ne’ cieli

Sospeso, vide, e credette,

anche il discente più acerbo,

dopo l’anziano. E intanto

che Maria in gran pianto

si scioglieva, con in serbo

quelle grandi emozioni

a casa rientravano

i due e capivano

infine le narrazioni

delle Scritture, che Egli

doveva risuscitare

dall’oltretomba. Due begli

angeli a domandare

il perché del suo pianto

a Maria, prona verso

la bara, di lino terso

vestiti apparvero. – “Tanto

io piango perché hanno

portato via il mio Signore

e non ho pace al cuore

– rispose ella con affanno –

 “ al non conoscer neanche

dove lo abbiano  posto”- .

Ciò detto le ciglia stanche

Posò su un uomo discosto

Che era Gesù incognìto.

– “Donna, chi piangi e cerchi?”-

le chiese. Di sottecchi,

credendolo di quel sito

lei, così lo supplicò:

-“ Se Lo hai portato via tu,

il mio Signore Gesù,

dimmelo; io stessa andrò

a prenderLo”. Il Suo rostro

mostrando Egli le disse

-“ Salgo al Padre mio e vostro.

Dillo, che pria che salisse

Gesù ai Suoi fratelli

Per te lo ha inteso dir!”

Dopo aver detto : “Rabbunì!”

Ella andò a dirlo a quelli.

The real story of Patrick Winningoes-6

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At that question, Mr Winningoes had set with extreme naturalness, George had brought a hand to his mouth, showing in his eyes an horrified gaze. Then he stood up, with the hand still on his mouth and ran out the room. I heard his long footsteps, through up the staircases.

-«I am sorry! I am very sorry indeed»– said the man in a resigned and sincere tone –“I have tried to gradually introduce you to the difficult matter, in order not to upset you, but it’s quietly evident that I have not succeeded it.- “Shall we go to see how your friend is?” – he concluded standing up.

  • « May be it’s better if I go first to talk to him on my own! We need to stay alone for a while» I told Mr Winningoes.

-« As you like» – he said quietly, sitting again.

I followed George upstairs, thinking at Mr Winningoes’ story. I had also accused an emotional hit to that sorrowful question, although, to say the very truth, I had expected that point of landing in Mr Winningoes’ discourse.

I saw George coming out from the bath. He stared at me without saying nothing. I knew he needed to be on his own, so I went to our room and lay down at the bed without approaching him.
I closed my eyes, trying to dominate all these emotions. I recalled into my mind the last accounts had led me to that house, with that strange man who seemed to fright .George so heavily

It was Friday, the 9th of November 1979, right the day we were going to meet that strange Mr Winningoes, as we had soon to discover, when I had followed my friend on the wide tree-lined roads. On the sidewalks, the leaves, fallen during the night, had formed a thick and soft carpet, on which George seemed to walk with special pleasure.

It was a colorless day, of those that are counted so numerous in London, especially in the winter time. One of those days on which the diurnal light maintains the same slim intensity, from mornings to evenings, and the night comes up suddenly unexpected, when the pale and smothered reverberation of the sun, behind a thick blanket of clouds, has concluded its fatiguing daily cycle.

It blew a fresh and light breeze. But the wind, from time to time, became impetuous, and by means of violent gusts seemed to push us, like for joking or as if it wanted to encourage us to go straight ahead. And courage was exactly what we really needed, as our search of a job was becoming a serious and weary problem.

  • «I don’t recognize the London’s gone times anymore» -George had told me, not later than the former evening, coming out from one of the many jobs agencies we had uselessly visited.
    I followed him on his march, absorbed in the noise that our own footsteps produced on the leaves. The rhombus of an auto dissuaded suddenly my attention.

-« Where are we going to?» -I asked him.

-« We will try to go this way along»- he answered turning slightly back his head to me. « This way through we will rejoin the Maida Vale. There are plenty of job’s agencies up there .»

George knew a lot better than I that zone, being living there for the former years. He had taken that one-room flat wherein we were living together, with a girl, now got back to Italy, as he had fleetingly told me, not without a shade darkening sadly his eyes; and after he did not speak more about it.

Instead, in that same day that he told me of his passion for the esoteric philosophies. Actually ‘till then, I had reputed them exclusive knowledge of the eastern cultures, while George, rightly in the period we met, was studying at one (whose study he had to introduce me, later on), that he granted to the Huichols, a direct descending people of the ancient pre-Colombian populations that in the present state, according to what at that time he told me, were still living in the north western mountains of Mexico.

Parabole in versi

Parabola del seminatore

VV
4-18

-“ Ascoltate ciò che dirvi or mi preme!

Un seminatore,  per seminare,

uscì un bel giorno! Parte del seme

 

Cadde lungo la strada. A beccare

Quei semi scesero però gli uccelli!

Altri semi s’andarono a posare

 

In luogo roccioso. Come labelli

Prima sbocciarono, ma non avendo

Terreno profondo, come castelli

 

Sulla sabbia, al primo sole, cuocendo

tutti inaridirono. Altri semi

caddero tra le spine, ma crescendo

 

le spine li soffocarono. Premi

invece spettarono, a chi del  trenta,

  sessanta e cento, a quei semi, quai in gremi

 

caddero nella buona terra. Senta

e comprenda chi ha orecchi per intendere!”

Ed  aggiunge il poeta, che si penta,

dal suo canto, chi deve e può comprendere!

Il dio Epicuro

Da tempo immemore l’uomo va cercando le ragioni della sua esistenza e delle sofferenze ad essa connesse.

Nel  quinto libro del suo capolavoro “De Rerum Natura” Lucrezio elogia Epicuro per il suo sforzo di eliminare la religione dalla vita di ogni uomo (e con essa forse anche le sofferenze).

Quando ero giovane ero convinto che la religione fosse uno strumento in mano dei preti per controllare e condizionare la vita e la mente del popolo;  esattamente ciò che Epicuro sosteneva sin dal III Millennio a.C. con le sue teorie, poi riprese da Lucrezio in “De Rerum Natura”.

Secondo queste teorie l’uomo deve perseguire la sua felicità prescindendo da qualsiasi religione, fede o dio;  e ciò egli deve fare innanzitutto vincendo la paura della morte; d’altronde, chiosava il pensatore greco, la morte non ci riguarda: quando siamo in vita, essa non c’è; quando essa c’è (e cioè noi saremo morti) non ci renderemo conto di esserlo.

Dalla paura della morte, secondo Epicuro, dipendono tutti i nostri condizionamenti.

Secondo Epicuro Dio non esiste affatto.

Poi, in età più avanzata, ho incontrato la fede nell’Unico Dio;  e l’ho trovata attraverso le parole, l’esempio, gli insegnamenti di suo figlio, Gesù Cristo, che discese in terra nei panni di un uomo il cui ricordo ancora commuove e fa riflettere le genti.

Lo so che la mia fede non è una risposta razionale ai pensatori come Epicuro e come Lucrezio; la fede è una ricerca di ragioni: le ragioni per cui vivere, i motivi delle nostre sofferenze, i perché di tante cose;

D’altro canto, se è vero come vero che  Epicuro e tanti altri filosofi greci possono essere considerati degli illuministi ante litteram, allora le risposte alle loro profonde riflessioni le hanno date tanti teologi prima e meglio di me (ma qui non è certo la sede adatta per affrontare simili, ardui ragionamenti).

E neppure voglio diminuire la grandezza del loro pensiero: ho profondo rispetto per i loro sforzi, le loro teorie, gli sforzi intellettuali da loro affrontati per dare delle risposte ai dubbi del pensiero umano; soltanto che non posso condividerli alla luce di Dio.

Non va neppure sottaciuto che probabilmente il pensiero occidentale non avrebbe raggiunto le vette alle quali è pervenuto, ivi compresa quella di accettare la presenza di Dio, senza doverGli attribuire necessariamente le nefandezze dell’umano umano (guerre, egoismo, sfruttamento, inquinamento e quant’altro), senza il grande pensiero dei pensatori  della cultura greco-romana.

Angelo Ruggeri, un brillante studioso dei testi classici, ed in particolare degli autori latini ed italiani, nella sua analisi del pensiero di Lucrezio,  sottolinea l’inutilità delle teorie di Epicuro con riguardo alle sofferenze che l’uomo, in quanto tale, è condannato a patire (sia che creda in Dio, sia che non ci creda).

Come scrive acutamente lo stesso  scrittore Angelo Ruggeri: ” In realtà quasi tutti vorrebbero vivere come Epicuro consiglia perché i suoi precetti sembrano condurre alla felicità, però non lo fanno in primo luogo perché la vita presenta mille difficoltà e mille  dolori che non è nei poteri dell’individuo evitare. Sulla paura delle morte che Epicuro pretende di allontanare col semplice ragionamento:  quando essa c’è non ci siamo noi, l’errore colossale sta nel fatto che gli uomini non temono tanto ciò che possono incontrare nell’aldilà,  quanto temono il nulla, l’annientamento.”

 Propongo per concludere (ameno per adesso) i versi 1-51 del Libro V. Chi ne volesse la traduzione, a cura di Angelo Ruggeri, può andare nel mio blog in lingua inglese attraverso il link in calce al presente post.

In lode di  Epicuro di Lucrezio Caro

Libro V, VV 1-51

 

Chi può con mente possente comporre un canto

degno della maestà delle cose e di queste scoperte?

O chi vale con la parola tanto da poter foggiare

lodi che siano all’altezza dei meriti di colui

che ci lasciò tali doni, creati dalla sua mente?

Nessuno, io credo, fra i nati da corpo mortale.

Infatti, se si deve parlare come richiede la nota

maestà delle cose, un dio fu, un dio, o nobile Memmio,

colui che primo scoperse quella regola di vita

che ora è chiamata sapienza, e con la scienza

portò la vita da flutti così grandi e dal buio immemore

in tanta tranquillità e in tanto chiara luce.

Confronta, infatti, le divine scoperte che altri fecero in passato.

E in effetti si narra che Cerere le messi e Bacco la bevanda

prodotta col succo della vite abbian fatto conoscere ai mortali;

eppure la vita avrebbe potuto essere senza queste cose,

come è noto che alcune genti vivano tuttora.

Ma vivere bene non si poteva senza mente pura;

quindi a maggior ragione ci appare un dio questi

per opera del quale anche ora, diffuse tra le grandi nazioni,

le dolci consolazioni della vita placano gli animi.

E se crederai che le gesta di Ercole siano superiori,

andrai assailontano dalla verità.

Quale danno, infatti, a noi ora potrebbero recare le grandi

fauci del leone nemeo e l’ispido cinghiale d’Arcadia?

E ancora, che potrebbero fare il toro di Creta e il flagello

di Lerna, l’idra cinta di un groviglio  di velenosi serpenti?

Che mai, coi suoi tre petti, la forza del triplice Gerione

tanto danno farebbero a noi gli uccelli  del lago›

di Stinfalo e i cavalli del tracio Diomede che dalle froge

spiravano fuoco, presso le contrade bistonie e l’Ismaro?

E il guardiano delle auree fulgide mele delle Esperidi,

il feroce serpente, che torvo guatava, con l’immane corpo

avvolto intorno al tronco dell’albero, che danno alfine farebbe,

lì, presso il lido di Atlante e le severe distese del mare,

dove nessuno di noi si spinge, né alcun barbaro s’avventura?

E tutti gli altri mostri di questo genere che furono sterminati,

se non fossero stati vinti, in che, di grazia, nocerebbero vivi?

In nulla, io credo: a tal punto la terra tuttora

pullula di fiere a sazietà, ed è piena di trepido terrore,

per boschi e monti grandi e selve profonde;

luoghi che per lo più è in nostro potere evitare.

Ma, se non è purificato l’animo, in quali battaglie

e pericoli dobbiamo allora a malincuore inoltrarci!

Che acuti assilli di desiderio allora dilaniano

l’uomo angosciato e, insieme, che timori!

E la superbia, la sordida avarizia e l’insolenza?

Quali rovine producono! E il lusso e la pigrizia?

L’uomo, dunque, che ha soggiogato tutti questi mali

e li ha scacciati dall’animo coi detti, non con le armi,

non converrà stimarlo degno d’essere annoverato fra gli dèi?

 

Per la versione in lingua inglese di Angelo Ruggeri clicca il link sottostante

http://poetryandmore-albixforpoetry.blogspot.it/2013/08/titus-lucretius-carus-ii.html

L’Attrice

Ieri sera, dopo avere partecipato ad un convegno  al Palazzo di  Giustizia di Cagliari, pensieroso e stanco  me ne rientravo a casa.

Procedendo per la via, in quello stato di  svagatezza, tipico di una fine serata preceduta da una faticosa giornata  di impegni, di caldo rovente e di corse (a coronamento di una settimana altrettanto impegnativa), mi sento salutare in maniera espansiva.

Guardo con fare interrogativo una donna sui 55 anni,  abbastanza ordinata (indossava un vestito blu scuro, appena scollato), capelli e occhi castani su un viso abbronzato (ma  poteva essere scambiato anche per  il suo incarnato naturale) con un sorriso aperto sui denti bianchi che presentavano soltanto una leggera irregolarità nella parte inferiore dei due incisivi superiori centrali.

Al mio sguardo incuriosito e perplesso la donna, sempre con quel suo sorriso espansivo e confidenziale, mi chiede: “Dove lavorava lei 25 anni fa?”

E’ una tecnica che usano i maghi. Prima ti fanno parlare e poi, agganciandosi alle tue parole, riannodano un discorso in maniera naturale, facendoti credere di sapere ciò che non sanno e di essere ciò che non sono.

Del resto, è noto a tutti, che nelle società arcaiche, la recitazione e la magia andavano a braccetto.

E d’altronde chi può dubitare che un buon attore sia altresì un buon mago? Non ti fanno forse credere, i grandi divi dello schermo, di assistere e di partecipare a delle vicende reali, mentre razionalmente dovresti sapere che si tratta di finzione e nulla più?

Naturalmente tutte le persone che dimostrano gli anni che hanno,  pur non apparendo e non essendo ancora in età pensionabile,  hanno presumibilmente un trascorso lavorativo collocabile, a ritroso nel tempo,  a 25 anni prima.

Per cui alla domanda della sconosciuta ritorno istintivamente indietro con la memoria a un quarto di secolo fa. Io allora insegnavo a Guspini ma, potete giurarci, che se avessi detto Sanluri, o Cagliari, o Roma, o il Palazzo di Giustizia, o l’Ufficio del Registro, o la Genovese Gomme o che so io?, la ditta Vattelapesca di Canicattì, la bella signora avrebbe saputo elegantemente inserirsi nelle pieghe recondite dei miei ricordi!

Infatti la sconosciuta si aggangia bene: “Io lavoravo nel panificio di mio padre, si ricorda?”

Veramente io avrei pensato che fosse una bidella (ce ne sono anche di eleganti ed espansive, ve lo posso assicurare), oppure un’impiegata della Pretura di Guspini o di Sanluri, però proprio non me la ricordavo. Le ho  anche chiesto, ingenuamente, come facesse a ricordarsi di me, posto che   venticinque anni fa ero davvero completamente diverso. Ma ci sono persone che rispondono soltanto alle domande cui conviene rispondere, come certi testi reticenti o subornati. E poi, avete mai sentito di un lavoratore italiano, che non compri il pane fresco per sè o per la sua famiglia almeno una volta al giorno?

In maniera astuta e naturale la sconosciuta passa a parlare di sè! –  “Ero a fare la chemio” – mi dice. E sembra lì, lì per  svenire, mentre si appoggia alla vetrina di un negozio.

Le osservo i capelli. Purtroppo ho avuto episodi di chemio terapia in famiglia; e conosco bene il suo effetto devastante anche sui capelli. I suoi non mi sembrano capelli   che abbiano subito l’oltraggio della chemio. Le donne che vi sottopongono, di solito, perdono completamente i capelli e, quando ricrescono, almeno inizialmente, se si tratta di donne non più giovanissime, restano bianchi e corti; ci sono i tempi della normali della riproduzione e dell’allungamento e le precauzioni sanitarie, che suggeriscono di non tingerseli ancora. Intravvedo alla base del cuoio capelluto della mia interlocutrice occasionale una leggerissima ricrescita. E la sua capigliatura non è comunque una parrucca.

Tutto questi dettagli li colgo mentre la fantomatica signora è già passata alla terza e ultima parte del suo piano. Con una lacrima (che razionalmente definirei “finta” ma vi assicuro che non lo sembrava affatto) mi dice che nella sua ricerca spasmodica di danaro le mancano soltanto 120 euro; per pagare le bollette e con due figlie da mantenere. Mi ribadisce che il tumore le ha intaccato  i polmoni e, sottolineando che lei aveva una quinta, fa per mostrarmi il seno sinistro che avrebbe subito la mastectomia. Naturalmente la fermo, anche se non posso fare a meno di notare che oltre la scollatura, la carnagione è di colore bianco-latte: quindi, non di incarnato naturale è la sua bella e colorita abbronzatura.

Io non giro mai con molti soldi in tasca e pago regolarmente con la carta bancomat anche le spese frequenti del supermarket (non quelle, sempre più rare, in verità, dell’edicola e del bar).

La vicenda però mi ha emotivamente coinvolto. E  anche se ho giurato di non dare più da soldi a sconosciuti, per strada, penso a come posso aiutare quella sventurata.

Ho giurato di non dare più soldi a sconosciuti da quella volta in cui ho scoperto che un finto rappresentante, elegantemente vestito e dotato di regolamentare valigetta 24 ore, al quale avevo,  con convinzione,  consegnato l’unica banconota da 5 € che mi ritrovavo in tasca, era in realtà il figlio di una famiglia ricchissima della mia zona di residenza, leggermente disabile e che periodicamente viene a stare con i suoi per le feste comandate. In realtà me l’ero ritrovato nel parcheggio interno, mentre sembrava davvero di essere appena uscito sconsolatamente da una visita di rappresentanza, e si lamentava con me di avere una famiglia e dei figli da mantenere, perchè nessuno aveva comprato i suoi prodotti per l’igiene della casa, di cui lui era raprresentante. Quella volta ho pensato ai suoi poveri filgi, senza latte e senza pane. Ho pensato che  quel povero papà sarebbe rientrato a casa almeno con 5 €. Giuro che se avessi avuto di più, gli avrei dato di più. Quella volta ci rimasi però di stucco, quando  il sedicente rappresentante, dopo essersi lamentato perchè gli avevo dato soltanto 5 €, si mise ad urlare contro il mondo e contro i Sardi (urlava letteralmente “Sardi bastardi”) con la mia banconota in mano. Più tardi, come detto, scoprii da certi vicini, che la sua famiglia era straricca e che il giovane rampollo, ritardato mentale, occupava il suo tempo e le sue vacanze, fingendo di essere un rappresentante, sfortunato e padre di famiglia.

Anche questa volta, non di meno, coi soldi che ho in tasca, penso di poterla aiutare. Magari potrei portarla al bar e darle da mangiare. O pagargli il pullman, affinchè, nelo suo stato, non abbia troppo a stancarsi.

-” Ma adesso, come fa a rientrare a Guspini?” – le chiedo anche per guadagnare ancora qualche secondo di ulteriore riflessione.

– ” Devo prendere il treno”- mi risponde incautamente la signora.

– “Ma a Guspini non passa il treno!” – rispondo io. E mi viene in mente mia nonna, che veniva spesso da Guspini al mio paese con la corriera dell’ARST (allora si chiamava SATAS, mi pare di ricordare).

-” Signora, ma io non ho capito ancora bene dove è che lavorava lei a Guspini! Mi ha parlato di suo padre….”- le chiedo infine, ormai dubbioso.

-” Mio padre puliva i giardinetti, vicino al cimitero…” mi risponde.

Poco prima mi aveva detto che suo padre aveva un panificio.

Magari era davvero una donna bisognosa. E magari pure malata. Non lo saprò mai, credo.

Una cosa è certa: era un’attrice; o un’impostora; a Guspini non c’era mai stata di sicuro.

Spero che il Servizio Sanitario Nazionale non abbandoni mai gli ammalati. E che la Caritas continui ad assistere i bisognosi.

Io, quando posso, preferisco aiutare le associazioni che fanno beneficienza; e pago i doverosi tributi allo Stato (caspita se li pago!).

E giuro ancora che non darò mai più soldi a chi mi mi racconta panzane per strada!

 

Salmo della Sera

Salmo 118

XX

Vedi o Dio la mia  miseria! Salvami!
La Tua legge non ho dimenticato.
Difendi la mia caüsa, riscattami.
Lontano dagli empi, mi son salvato.
La vita, Dio, per la Tua grazia, dammi.
Ribrezzo per i ribelli ho provato.
Resta eternamente ogni Tua sentenza;
della Tua parola non so far senza!

Salmo della Sera

Salmo 118

XIX

 

Salvami e seguirò gli insegnamenti

 Tuoi;  precedo l’aurora e grido: “ aiuto,

mi   perseguitano con tradimenti”;

e medito su ciò che ho ricevuto

 in promessa. I Tuoi ordinamenti

da tempo riconosco che hai voluto

per sempre! I Tuoi precetti son veri:

fammi vivere in base  ai Tuoi voleri!

Salmo del Giorno

Salmo 118

XVIII

 

Tu sei’l Giusto ed il più retto, Signore;

da giusto le Tue leggi hai ordinato;

mi divorano lo zelo e l’amore

della Tua casa; tutti  hanno scordato,

i miei nemici, il Tuo vero valore!

Io sono piccolo e son disprezzato,

ma è giusta   la Tua legge ed infinita:

fammela capire ed  avrò la vita!