I Thirsenoisin

Intanto, in preda a queste riflessioni, era giunto in vista al recinto dove Rumisu si apprestava a liberare  le sue greggi per condurle al pascolo. Lo vide, prima anche che sentirlo, raggruppare gli animali, con quei movimenti e quei richiami che un pastore ripete con la solennità che gli proviene dall’innato costume a dominare le greggi, ma senza violenza o malanimo, quasi con amore, come se animali e uomini fossero una sola entità, sacra e da rispettare. Al contrario del fratello,  Rumisu si era da subito dedicato alla cura delle greggi, con tutta l’anima e con tutto se stesso. Avevano sposato due sorelle e sua moglie gli  aveva già dato due figli, un maschio e una femmina.

«Bentornato, padre!» esclamò quando fu a portata di voce.

No, Rumisu non c’entrava per niente in quella brutta storia. Era rimasto sorpreso anche lui per il gesto del fratello. Gli aveva letto ancora  l’incredulità e la sorpresa nel viso, quando Damasu era fuggito via, e lui finalmente, passato

quel drammatico istante, si era reso conto di tutto e si era guardato attorno, per vedere se il pericolo fosse cessato con la fuga del suo mancato assassino.

«Grazie figlio mio. Mi aiuti a scegliere due caprette da immolare agli dei delle acque per richiedere  la guarigione di Elki? Sceglile tra le mie, naturalmente.»

«Se permettete, padre, vorrei sceglierne due delle mie. Voglio offrirle io in sacrificio.»

«Sì, certo! Agli dei piaceranno doppiamente!» assentì con intimo giubilo Itzoccar. «Mandamele con uno dei servi alla residenza dei sacerdoti, giù al pozzo sacro! »

«Sarà fatto!»

«Vienimi a trovare coi tuoi figli quando sarai rientrato dai pascoli!»

«Va bene» rispose Rumisu salutando il padre, che subito si avviò in direzione del pozzo sacro.

I Thirsenoisin

Volevo ringraziare e, nel contempo, tranquillizzare i sottoscrittori dell’iniziativa di crowdfunding promossa da BookaBook in favore del mio romanzo “I Thirsenoisin”.

Grazie ai tanti amici che mi hanno sostenuto abbiamo ottenuto il numero di sottoscrizioni necessarie per la pubblicazione del romanzo.

Il romanzo pertanto vedrà presto la luce e sarà inviato ai sottoscrittori nel formato prescelto (e-book o cartaceo).

Un abbraccio di cuore a tutti gli amici che mi hanno sostenuto.

Grazie anche alla casa editrice booaBook per il sostegno ricevuto.

Adesso è tempo di altre sfide da sostenere e da vincere.

Un abbraccio affettuoso ai miei sostenitori e grazie ancora.

I Thirsenoisin

Ho trovato tante versioni in greco da cui ho preso spunto per intitolare il mio romanzo di ambientazione nuragica e Shardana.

La versione più assonante con il mio titolo è Τυρσηνοί in dialetto ionico (ma gli altri dialetti, dorico e attico variano di poco).

Ho chiamato il mio romanzo I Thirsenoisin perché, ragionando con il cuore (e non con il cervello) ho pensato che questo termine, come scrive Strabone nel libro V della sua opera “Geografia in 17 Volumi”, richiama visibilmente i costruttori di torri. E di torri in Sardegna ce ne sono a migliaia. Inoltre il termine Thirsenoi si presta a un’altra interpretazione: I Tirsenoi potrebbero i navigatori del Tirreno, i Tirreni.

Qualcosa mi fa pensare che i Shardana, arrivando in Sardegna, abbiano trovato una civiltà nuragica già evoluta e avanzata. I primi tempi non devono esssere stati facili, ma poi i due popoli hanno imparato a convivere. E oggi costituiscono le radici di noi Sardi.

Per il resto agli studiosi, quelli che ragionano con il cevello (e non il cuore), di studiare le stratificazioni degli insediamenti archeologici con i metodi tipicamente scientifici; anche se ritengo che questi studiosi debbano abbandonare le torri d’avorio e confrontarsi con tutti., senza pregiudizi.

Se Sergio Frau e Mario Tozzi trovano tanti sostenitori e tanto entusiasmo attorno alle loro idee, un motivo dev’esserci. Le loro supposizioni non sono da bocciare con l’astio e la supponenza con qui le hanno bocciate certi accademici spocchiosi e supponenti.

Trovo comunque il dibattito complessivamente molto affascinante e credo che ci sia posto per ogni contributo, pur nella convinzione che la verità sia difficile da asseverare con assoluta certezza; non è facile; più che al metodo grafocentrico, preferisco il criterio applicato da molti archeologi, che privilegiano i manufatti, gli tuensili e le costruzioni.

Prenota la tua copia del romanzo e scarica subito le bozze: https://bookabook.it/libri/i-thirsenoisin/

Sardegna e Libertà

Quando ero giovane andavo spesso, su incarico di mio padre, nei vari uffici pubblici: Poste, Camera di Commercio, Ufficio del Registro, ecc.; mi succedeva anche di andare dal medico a prendere il posto (allora usava così), per mia nonna o per mia mamma.

Trovavo in questi luoghi una variopinta rappresentanza del genere umano, per lo più dolente,  che allora abitava la nostra bella Isola. Alle Poste in particolare si trovavano i più incazzati: sembravano pronti a far crollare il governo in carica a colpi di cannone (o magari di roncola); io dentro di me, ingenuamente,  pensavo: ” alle prossime elezioni politiche i democristiani (allora i nemici dei giovani idealisti e dei sognatori del cambiamento erano soprattutto i “matusa” della Democrazia Cristiana) prenderanno un tale calcio nel sedere che  ci saremo finalmente liberati di loro, della loro protervia, della loro incapacità e del malaffare che si portano dietro”.

Così pensando attendevo trepidante il risultato delle elezioni; regolarmente le vincevano i democristiani; così il cambiamento agognato restava fuori dalla porta.

Non riuscivo però a farmene una ragione: “Ma come?”, mi chiedevo tra l’indignazione e l’incredulità; li ho sentiti io con le mie orecchie e li ho visti io trattati a pesci in faccia dall’impiegato della Camera di Commercio o dal nevrotico impiegato delle Poste (ce n’è sempre uno, anche oggi, pronto a scaricare le sue frustrazioni sulla ignara e indifesa utenza); ho sopportato insieme a loro delle file estenuanti, inspiegabili, inammissibili, inconcepibili in un Paese che voglia dirsi civile e solidale.

Ma allora perchè continuano a votare i responsabili delle disfunzioni nel funzionamento dei pubblici uffici e del malaffare dilagante?

Così diventai sardista. In nome della nostra specialità e della costante resistenziale sarda vidi nel sardismo una via d’uscita ai mali della Sardegna. La mia fede cominciò però a traballare quando acchiapparono con le mani nel sacco i primi sardisti artefici in negativo della stagione di tangentopoli in salsa quattro mori; ma forse avrei dovuto aprire gli occhi molto tempo prima; quando ad esempio, in previsione di un’assemblea condominiale discorrevo con gli amici che avrebbero dovuto e potuto sostituire i loro genitori, proprio come me, nell’assemblea nella quale si doveva discutere e approvare il bilancio consuntivo; prima della riunione questi amici berciavano contro l’amministratore condominiale di turno (all’epoca erano tutti dei dilettanti, condomini anche essi, divisi tra il desiderio di rendersi utili e l’improvvisazione tipica dei dilettanti), accusandolo delle peggiori nefandezze, di ammanchi di cassa, di ruberie, malversazioni e appropriazioni indebite; ma quando scattava l’ora X della riunione scoprivano di avere degli impegni improrogabili ed io mi ritrovavo solo in Assemblea a combattere contro i mulini a vento; e ancora prima, quando studente delle scuole superiori, mi attivavo per organizzare le assemblee studentesche di migliaia di iscritti; ma a dibattere i problemi della scuola ci ritrovavamo in un centinaio scarso; e se c’era da distribuire volantini in ciclostile o da sfilare in corteo con il megafono, di quei mille e di quei cento ne scorgevo, voltandomi a guardare, appena quindici (per abbondare).

Adesso quando sento  parlare o leggo di Sardegna libera dal giogo degli Italiani, penso che i primi, veri  Italiani siamo noi Sardi: coraggiosi, fieri, orgogliosi ma inguaribilmente italiani nella nostra indolenza, nella nostra rassegnazione, nella nostra incapacità di muoverci insieme; individualisti fino al midollo; bravi a lamentarci e piangerci addosso ma pronti a rientrare nell’ombra nel momento dell’assunzione di responsabilità.

Colpa dei Savoia o dei Borbone? Colpa dei romani e delle loro legioni? Colpa dei bizantini, dei pisani, dei catalani o dei castigliani?

Non  saprei rispondere. Forse anche per noi vale vale l’antico adagio meridionale “Francia o Spagna, purchè si magna!”

Mi resta il vanto di essere discendente di quei grandi uomini che innalzarono al cielo quei mastodontici edifici che dopo migliaia di anni resistono ancora alle ingiurie del tempo, ma non posso fare a meno di constatare che il patrimonio genetico di quei grandi si è disperso, mischiandosi a quello dei diversi dominatori che nei millenni si sono succeduti nel dominio dell’Isola.

Ma non provo antipatia per chi ancora crede che valga la pena di parlare e di lottare per una Sardegna libera.

Anche io, un tempo lontano, ci ho creduto.

I Sardi e Le Colonne d’Ercole

sardatlantidePremetto che non ho né le competenze professionali, né la presunzione di addentrarmi in una dettagliata disamina scientifica delle differenti posizioni emerse nella diatriba che ormai da quasi un decennio vede contrapposta la comunità archeologica isolana e l’autore del libro-inchiesta  sulle Colonne d’Ercole Sergio Frau, secondo cui la mitica isola di Atlantide sarebbe da identificarsi con la nostra amata isola di Sardegna.

Io sono soltanto un poeta; un poeta che con la mente e con il cuore cerca Dio, perdendosi nell’immensità dell’Universo;  un poeta che ha ben salde le sue radici nella terra, frammento divino di quel medesimo universo, creazione insondabile, incomprensibile, irraggiungibile, nella sua maggior parte; le mie radici si nutrono di sapori mediterranei, nelle profonde falde delle isole mediterranee; ma si estendono in infinite ramificazioni che mi hanno dato conferma di quanto sia vero che l’uomo ha un imprimatur originario, uno stampo divino unico ed inconfondibile, che accomuna tutti gli uomini sotto l’egida di figli del Dio Unico e Misericordioso.

Eppure, quando al ritorno dal  mio  giovanile peregrinare per i lidi del mondo, il mal di Sardegna mi ricondusse all’ombra dei nuraghi, rimasi folgorato nel pensare ai miei avi lontani, costruttori di quelle imponenti costruzioni, che si stagliano possenti lungo le coste  dell’Isola, all’interno, nelle profonde Barbagie, nelle pianure e nei monti, dappertutto, testimoni di una grandezza remota, innegabile e orgogliosa.

Non nutro questi sentimenti di sardità per ragioni politiche o per rivendicare chissà quali spinte autonomistiche o partitiche.

Mi sento e mi basta sentirmi un figlio del Dio vivente, fratello in Cristo(cercando di esserne degno), cittadino d’Europa e aspirante cittadino del futuro ordine mondiale.

Non mi servono altre rivendicazioni.

Eppure non amo quei Sardi che rinnegano il loro passato; che scimmiottano tutto ciò che viene da fuori, considerando la propria terra un’ infelice isola, terra di malaria e di disgrazie, che ha sempre bisogno degli altri per qualificarsi degno di esistere.

Questa xenofilia esagerata e preconcetta non serve alla Sardegna del futuro. E’ obsoleta. E’ finita.

Non so chi abbia ragione tra Sergio Frau e i 173 burocrati che hanno firmato contro il suo libro-inchiesta che, a loro dispetto, sta diffondendosi nel mondo, attirando l’interesse di illustri scienziati  quali  Maria Giulia Amadasi Guzzo,  Lorenzo Braccesi ; Vittorio Castellani (Astrofisico alla Normale di Pisa, archeologo e Accademico dei Lincei); Claudio Giardino (Archeologo specializzato in metallurgia antica, docente all’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli); Mario Lombardo (Docente di storia e letteratura greca e archeologo all’Università di Lecce); Kostas Soueref (Archeologo della Soprintendenza di Salonicco, Grecia); Benedetta Rossignoli (Ricercatrice e saggista dell’Università di Padova);  Azedine Beschaouch (Accademico di Francia, archeologo,   per conto dell’Unesco); Isa Boccero (direttrice del Museo del Sannio); i geologi del Cnr Davide Scrocca e Vincenzo Francaviglia (Nuove tecnologie per i Beni Culturali); Antonello Petrillo (docente di sociologia all’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa), Oya Barin (attaché culturale dell’Ambasciata di Turchia a Roma), Carlo Zanda de “La Stampa” e Daniela Fuganti di “Archeo”,  compreso quel grande, libero pensatore che corrisponde al nome di Giovanni Lilliu, su “Babbu Mannu” dell’archeologia sarda.

Ripeto: non so chi abbia ragione. Ma so che è ora di scrollarci di dosso quel senso di autocommiserazione e disistima che   ha condannato i Sardi, negli ultimi sei secoli soprattutto, a un ruolo marginale nella storia d’Italia.

Sento che vale la pena indagare nuovi orizzonti scientifici, senza facili e superficiali entusiasmi e inutili illusioni di grandezza, ma anche senza pregiudizi e senza complessi di inferiorità.

Per questo riprenderò in mano il libro di Sergio Frau, sempre con l’atteggiamento umile del poeta, lasciando ad altri le giuste e doverose ricerche scientifiche.

Titolo: Le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta. La prima geografia. Tutt’altra storia Autore: Frau Sergio Editore: Nur Neon Data di Pubblicazione: 2002 ISBN: 9788890074004 Dettagli: p. 800 Reparto: Geografia e viaggi