Dalla Sicilia al Piemonte con Giuseppe Garibaldi

Dalla Sicilia al Piemonte con  Garibaldi

Storia di un Garibaldino vero

Romanzo storico di Ignazio Salvatore Basile

Questo romanzo è dedicato a Silvia Nicolosi

nipote in linea retta dell’eroe garibaldino

Gaspare Nicolosi, che con la sua verve narratrice mi ha dato lo spunto per iniziare a scriverlo, stimolandomi con numerosi racconti

ed episodi reali della sua vita avventurosa

PROLOGO

  • “Se non riporti immediatamente indietro questa carretta, con equipaggio, carico e passeggeri, quant’è vero che mi chiamo Gaspare Nicolosi da Mazara del Vallo, ti faccio saltare in aria il cervello, compreso il berretto da capitano che ti ritrovi in testa!”

Il capitano del vapore Santorini, battente bandiera greca, che era salpato dal porto di Marsala appena due ore prima, si ricordò del proverbio che sentiva ripetere, dai marinai greci e italiani,  sin da

quando era un giovane mozzo di coperta ed aveva appena iniziato a solcare i mari del Mediterraneo, mentre con la coda dell’occhio inquadrava la faccia decisa di quel giovane italiano dai baffetti ben curati e dall’incarnato scuro.

  • “ Una razza, una faccia!” – ripeté tra sé, con un brivido, che egli preferì attribuire al freddo metallo di quella pistola che gli premeva la tempia destra.

Il capitano Johannes Liarkònos pensò anche a sua moglie Rinaci, alla quale aveva promesso di invecchiare insieme e che l’aspettava a Corfù, indaffarata nei preparativi per il matrimonio prossimo della loro primogenita.

Decise che non valeva affatto la pena rischiare e, anche se gli costava da matti, intraprese la manovra di inversione della rotta, non senza avere tranquillizzato quell’esagitato giovanotto, pregandolo di spostare la canna della pistola dalla sua tempia.

Sì, quell’uomo aveva una faccia familiare; probabilmente era siciliano, come aveva detto di essere, ma dalla faccia poteva benissimo essere un greco; ed un suo connazionale, davanti ad un rifiuto non accetto, avrebbe sicuramente fatto fuoco.

Fu così che Gaspare Nicolosi, potè rientrare nel porto di Marsala dove erano diretti i due brigantini “ Piemonte” e “Lombardia” che egli aveva visto virare verso il porto siciliano giusto in tempo per chiedere al comandante greco del Santorini di invertire la rotta.

Ora che arrivava Garibaldi che senso aveva per lui scappare a Malta? Meglio combattere e morire che fuggire! Adesso che il generale nizzardo era finalmente giunto gli sgherri del re di Napoli avrebbero trovato pane per i loro denti, e lui non si sarebbe più nascosto, anche se veniva ricercato come pericoloso nemico della legge.

continua…

I Nuovi Baroni – 5

Capitolo Quinto

Antoni Pinna era un bel giovane dal fisico prestante. Sua madre, Mariuccia Pinna, aveva svolto servizio di domestica nella casa di don Gavino Palacio per parecchi anni, finché non si era trovata incinta. Per evitare di dare scandalo e di far chiacchierare la gente, era stata allontanata dalla casa del rettore da Donna Consuelo, che non era riuscita a farsi dire dalla serva chi fosse il padre di quella creatura che le cresceva in grembo.

I due fratelli non si erano però disinteressati delle sorti della sfortunata ragazza. Le avevano trovato un alloggio in periferia, nella zona di Sparagallu e le avevano permesso di continuare a lavorare, anche dopo la nascita del figlio, ma senza mai più permetterle di entrare in casa. Don Gavino si era mostrato comprensivo e addirittura si era offerto di insegnare al bambino, appena fu in età, i rudimenti della scrittura e della dottrina.

 Ma come la gente aveva ripreso a sparlare, donna Consuelo aveva suggerito al fratello che ponesse fine a quei generosi insegnamenti. Antoni, tuttavia, grazie alla sua precoce e viva intelligenza, aveva presto imparato a leggere e a scrivere, seppure limitatamente a testi molto semplici ed elementari. Crescendo era venuto su bene nel fisico e male nel carattere, introverso e aggressivo, a causa di quella sua condizione di bastardo che la malignità dei villani compaesani, non aveva mancato di stigmatizzare sin da quando era entrato in contatto, per le diverse occasioni, con loro.

 Divenuto più grande si era accapigliato con più d’una persona, malmenandola di santa ragione, per avere accennato a quella sua disgraziata condizione. Così la gente aveva preso a temerlo e si era limitata a parlargli alle spalle, senza più osare insultarlo apertamente.

 Fisicamente aveva preso tutto dalla mamma: il fisico asciutto e slanciato, la bellezza del viso, con la fronte ampia, le labbra carnose, un naso lievemente aquilino e gli zigomi pronunciati.

Niente che potesse comunque ricondurre al misterioso padre, di cui Mariuccia, si diceva, avesse soltanto parlato in confessione, visto che aveva ripreso a frequentare la chiesa e i sacramenti, pentita dell’errore commesso e disponibile a ravvedersi per il futuro, come aveva spiegato don Gavino alla sorella.

Divenuto uomo don Gavino lo aveva raccomandato a Carlo Emanuele Pistis, l’attuale sindaco in carica, perché lo prendesse a lavorare con sé e il printzipale, per farsi alleato con il potente e scorbutico rettore, lo aveva inserito nella Compagnia dei Barracelli, il corpo armato adibito alla difesa delle campagne e degli allevamenti, dalle troppo frequenti ruberie e grassazioni.

Era lì aveva perfezionato la sua abilità con il fucile, una passione che aveva manifestato sin da ragazzo. Nei servizi prestati in favore della compagnia barracellare girava sempre con il fucile carico, pronto a sparare. Ecco perché, quando aveva sentito quell’esagitato sostituto podatario, inveire dal ballatoio della Casa Forte, contro di lui, con quelle parole offensive nei confronti della madre, non c’aveva visto più e gli aveva sparato. A mente fredda si era poi pentito. Poteva anche darsi che quel vecchio non ce l’avesse proprio con sua madre, ma la parola offensiva, urlata a viva voce, davanti a tutti, in quel momento, gli aveva suggerito quel gesto vendicativo e riparatore.

Inizialmente si era rifugiato nel convento di Santa Greca, a Decimomannu, ma qualcuno gli aveva fatto sapere che gli uomini del marchese lo cercavano in tutti i conventi, pronti a irrompere con la forza, in dispregio del diritto di asilo di cui ancora godevano, invero in maniera residuale e con forza decrescente, quelle istituzioni religiose conventuali, decisi a vendicare la morte del Sostituto Podatario Josep Mendoza che lui aveva causato.

 Allora aveva preso il proponimento di darsi definitivamente alla macchia. Conosceva bene la campagna di Villa Sor e i villaggi abbandonati pullulavano di rifugi e di risorse naturali, sufficienti al suo sostentamento quotidiano. Aveva stabilito un contatto con sua madre che non mancava di fargli avere, quando possibile, dei panni puliti e qualcosa di caldo da mangiare, anche se lui non mancava di arrostirsi, all’aperto, le prede che riusciva a catturare nel fiume con le sue nasse e, in terra, con il suo fucile.

 La cosa che gli pesava di più, in realtà, era la mancanza della ragazza di cui si era innamorato e che, seppure segretamente, ricambiava in pieno il suo sentimento. Doveva assolutamente farle sapere che lui la stimava ancora e voleva spiegarle i motivi per cui aveva sparato a quell’odioso forestiero e che si era comunque pentito di quel che aveva fatto. Quella era adesso la sua primaria, unica e vera preoccupazione. Il resto lo avrebbe affrontato di buon grado; ma a quell’amore non avrebbe saputo e non voleva assolutamente rinunciare.

https://www.hoepli.it/libro/i-nuovi-baroni-l-agonia-del-potere-feudale-nel-regno-di-carlo-alberto-di-savoia/9788833436548.html

Sardegna magica -4

Nell’animo dei Sardi, senza volerla girare in politica, c’è un sogno; lo dicono e lo cantano anche i poeti; è un sogno, e come tutti i sogni ha i contorni indefiniti e va e viene, lungo sentieri di misteriosi archetipi, di miti sopiti ma mai morti del tutto.

E’ un sogno di libertà, di indipendenza, forse legato a quelle maestose creazioni che resistono da millenni sullo sfondo di paesaggi selvaggi, unici e affascinanti; sicuramente legato al nostro passato che, a dispetto delle nostre insicurezze e delle nostrte paure, è un passato di grandezza e di gloria.

Oggi c’è rimasto solo l’orgoglio smisurato, la solitudine dell’animo e la diffidenza verso lo straniero, che si scioglie di fronte a un sorriso, a un po’ di considerazione e al rispetto che ci aspettiamo.

Ma molti Sardi sono ancora i peggiori nemici della sardità.

4. continua…

Sardegna e Libertà

Quando ero giovane andavo spesso, su incarico di mio padre, nei vari uffici pubblici: Poste, Camera di Commercio, Ufficio del Registro, ecc.; mi succedeva anche di andare dal medico a prendere il posto (allora usava così), per mia nonna o per mia mamma.

Trovavo in questi luoghi una variopinta rappresentanza del genere umano, per lo più dolente,  che allora abitava la nostra bella Isola. Alle Poste in particolare si trovavano i più incazzati: sembravano pronti a far crollare il governo in carica a colpi di cannone (o magari di roncola); io dentro di me, ingenuamente,  pensavo: ” alle prossime elezioni politiche i democristiani (allora i nemici dei giovani idealisti e dei sognatori del cambiamento erano soprattutto i “matusa” della Democrazia Cristiana) prenderanno un tale calcio nel sedere che  ci saremo finalmente liberati di loro, della loro protervia, della loro incapacità e del malaffare che si portano dietro”.

Così pensando attendevo trepidante il risultato delle elezioni; regolarmente le vincevano i democristiani; così il cambiamento agognato restava fuori dalla porta.

Non riuscivo però a farmene una ragione: “Ma come?”, mi chiedevo tra l’indignazione e l’incredulità; li ho sentiti io con le mie orecchie e li ho visti io trattati a pesci in faccia dall’impiegato della Camera di Commercio o dal nevrotico impiegato delle Poste (ce n’è sempre uno, anche oggi, pronto a scaricare le sue frustrazioni sulla ignara e indifesa utenza); ho sopportato insieme a loro delle file estenuanti, inspiegabili, inammissibili, inconcepibili in un Paese che voglia dirsi civile e solidale.

Ma allora perchè continuano a votare i responsabili delle disfunzioni nel funzionamento dei pubblici uffici e del malaffare dilagante?

Così diventai sardista. In nome della nostra specialità e della costante resistenziale sarda vidi nel sardismo una via d’uscita ai mali della Sardegna. La mia fede cominciò però a traballare quando acchiapparono con le mani nel sacco i primi sardisti artefici in negativo della stagione di tangentopoli in salsa quattro mori; ma forse avrei dovuto aprire gli occhi molto tempo prima; quando ad esempio, in previsione di un’assemblea condominiale discorrevo con gli amici che avrebbero dovuto e potuto sostituire i loro genitori, proprio come me, nell’assemblea nella quale si doveva discutere e approvare il bilancio consuntivo; prima della riunione questi amici berciavano contro l’amministratore condominiale di turno (all’epoca erano tutti dei dilettanti, condomini anche essi, divisi tra il desiderio di rendersi utili e l’improvvisazione tipica dei dilettanti), accusandolo delle peggiori nefandezze, di ammanchi di cassa, di ruberie, malversazioni e appropriazioni indebite; ma quando scattava l’ora X della riunione scoprivano di avere degli impegni improrogabili ed io mi ritrovavo solo in Assemblea a combattere contro i mulini a vento; e ancora prima, quando studente delle scuole superiori, mi attivavo per organizzare le assemblee studentesche di migliaia di iscritti; ma a dibattere i problemi della scuola ci ritrovavamo in un centinaio scarso; e se c’era da distribuire volantini in ciclostile o da sfilare in corteo con il megafono, di quei mille e di quei cento ne scorgevo, voltandomi a guardare, appena quindici (per abbondare).

Adesso quando sento  parlare o leggo di Sardegna libera dal giogo degli Italiani, penso che i primi, veri  Italiani siamo noi Sardi: coraggiosi, fieri, orgogliosi ma inguaribilmente italiani nella nostra indolenza, nella nostra rassegnazione, nella nostra incapacità di muoverci insieme; individualisti fino al midollo; bravi a lamentarci e piangerci addosso ma pronti a rientrare nell’ombra nel momento dell’assunzione di responsabilità.

Colpa dei Savoia o dei Borbone? Colpa dei romani e delle loro legioni? Colpa dei bizantini, dei pisani, dei catalani o dei castigliani?

Non  saprei rispondere. Forse anche per noi vale vale l’antico adagio meridionale “Francia o Spagna, purchè si magna!”

Mi resta il vanto di essere discendente di quei grandi uomini che innalzarono al cielo quei mastodontici edifici che dopo migliaia di anni resistono ancora alle ingiurie del tempo, ma non posso fare a meno di constatare che il patrimonio genetico di quei grandi si è disperso, mischiandosi a quello dei diversi dominatori che nei millenni si sono succeduti nel dominio dell’Isola.

Ma non provo antipatia per chi ancora crede che valga la pena di parlare e di lottare per una Sardegna libera.

Anche io, un tempo lontano, ci ho creduto.

Sardegna Indipendente

sardegna copertina“Pensarci non è peccato” – scrive oggi Salvatore Cubeddu  nel suo editoriale sul nuovo quotidiano Sardegna 24. Credo abbia ragione: se ne può parlare. Ma fra il dire e il fare, come dice il proverbio, c’è di mezzo il mare.

Scrivo con il pensiero ai miei anni giovanili quando, sulle ali dell’entusiasmo che mi suscitarono i miei studi di storia sarda, anche io pensavo ad una Sardegna libera e indipendente. Militai  per un periodo anche nel PSd’Az prima di rendermi conto che non c’era una classe politica preparata per proporre seriamente un’istanza indipendentista nei confronti di Roma.

Non basta il grande cuore dei Sardi per una siffatta impresa! Sul piano economico la classe imprenditoriale sarda è da sempre subalterna a quella forestiera: spagnola, piemontese o lombarda poco cambia. L’ex Partito Liberale Italiano interpretò alla grande  questo atteggiamento di fedeltà e di subalternità, seppure non mancarono i benefici per la nostra Isola (se è vero come è vero che l’on, Cocco Ortu fu il migliore dei politici Sardi prestati all’Italia, sul piano dei vantaggi e dei risultati concreti ottenuti a favore dei Sardi). E cercare a sinistra è inutile: oggi non c’è più niente; ma anche ai tempi d’oro del PCI e dell’Internazionale vi si respirava un’aria imperialistica da centralismo democratico i cui bagliori lampeggiano ancora oggi, sinistramente, nell’altopiano del Tibet e in Cecenia.

E allora cosa resta in termini socio-economici e politici? Non certo gli eredi della DC: come cattolici non siamo mai stati capaci di esprimere neppure un minimo di Sardità neanche nei vertici ecclesiastici (una riprova lampante la troviamo nella figura dell’Arcivescovo in carica e nel suo modo di trattare Sardi e Sardità).

Restano i pastori, con il loro movimento, oggi ben posizionato sul fronte della protesta, ma pronto a cedere al primo elicottero di passaggio (e chi potrebbe dare torto alla speranza e al desiderio di vedere riconosciuto un minimo di decoroso profitto, a fronte di una vita di lavoro intenso e duro come non mai?) e la galassia dei micro-partitini di matrice sardista che si moltiplicano come per partenogenesi senza mai produrre una sola idea che sappia di unitario.

Certo Cubeddu, possiamo pensarci alla nostra Indipendenza; possiamo anche parlarne; ma per realizzare delle idee ci vogliono dei mezzi economici e degli uomini capaci  di coagulare attorno a sè le istanze libertarie che da sempre albergano nei cuori dei Sardi; ma in questo deserto di miseria economica e culturale non vedo nè gli uni, nè gli altri. Io, da inguaribile pacifista, da sempre contrario ad ogni forma di violenza (fosse anche esercitata per la più nobile delle cause) mi accontenterei anche di un Partito o di un Movimento che nella normale dinamica istituzionale nazionale ed europcentrica, si presentasse unito a rivendicare i diritti che già ci sono stati riconosciuti (sulla Carta), prima di sognare chimere forse irraggiungibili.

Stati e Nazioni

copertina stato e nazioniSemplificando al massimo il diritto pubblico distingue tra stato e nazione, indicando con il primo concetto il soggetto giuridico internazionale dotato dei tre elementi essenziali (popolo, territorio e sovranità) mentre  con il secondo si indica un insieme di persone accomunate da lingua, costumi, religione, vicende storiche, usi e consuetudini.

Ci sono stati composti da più nazioni (come ad es. il Belgio, la Spagna, la Gran Bretagna ed altri) e nazioni suddivise in più stati (ad es. i Curdi; ).

Eppure non sempre le Nazioni vogliono unirsi sotto l’egida di uno Stato unico (ad esempio la Nazione islamica è frantumata in una miriade di stati indipendenti) anche perché al loro interno sono quasi inevitabili delle sottodivisioni particolaristiche (si pensi, sempre a proposito di Islam, alla suddivisione tra Sciiti e Sunniti).

Come Sardo sento forte l’attrazione identitaria verso la Nazione Sarda ma non al punto da propugnare una Sardegna politicamente indipendente (anche se ho subito come una violenza l’insediamento di numerose servitù militari, eseguita senza consultare a fondo le comunità e le istituzioni; e ancor meno sopporterei la costruzione coattiva di centrali nucleari calate dall’alto).

A tal proposito ritengo che lo sviluppo più sano e più consono all’evoluzione del mondo attuale sia quello che deve puntare ad organismi unitari sempre più vasti e soprannazionali (l’Unione Europea ne costituisce un esempio emblematico; anche se l’obiettivo apicale resta la formazione di un ordine internazionale capace di racchiudere sotto un unico ombrello tutti gli stati del mondo).

Ma questo auspicabile processo di verticalizzazione verticistica deve andare di pari passo con un’affermazione e un consolidamento delle basi nazionalitarie (che definereie come la base orizzontale del fenomeno) che lo sostengano alla base.

Ecco perché non sono favorevole ad un processo di indipendenza della Sardegna (che considero, per quanto detto in premessa, storicamente superato) ma, non di meno, propugno un sempre più forte autonomismo ed una autodeterminazione che veda i Sardi protagonisti coscienti ed  interpreti responsabili del proprio destino.

Due Isole a confronto

cartina_europaPer chi venga dalla Sardegna è sorprendente notare come, in provincia di Messina, i paesi  che guardano sulla costa tirrenica si sviluppino lungo la strada nazionale uno dopo l’altro senza soluzione di continuità: Torregrotta, Rometta Marea, Verdesca, Valdina, Venetico Marina,Spadafora e tutti gli altri sono praticamente attaccati gli uni agli altri.

Se provieni da Palermo e prendi il treno verso Messina, i cui binari corrono paralleli alla strada provinciale, puoi vedere anche  la spiaggia e il mare, se hai l’accortezza di sceglierti un sedile accanto al finestrino.

Le spiagge migliori della provincia si trovano sulla costa jonica e nel resto della Sicilia non mancano certo le spiaggie belle. Non è quindi nelle bellezze naturali che bisogna cercare la differenza tra le due più grandi isole del Mar Mediterraneo.

Entrambe sono bellissime  o quantomeno io le amo entrambe allo stesso modo: una perchè ha dato i natali a mio padre, la seconda perchè ci son nato io (oltre che mia madre).

Pur avendo una  superficie quasi uguale (la Sicilia è solo leggerveneticomente più grande) gli abitanti della Sicilia sono più del  triplo di quelli della Sardegna (un milione e mezzo di residenti a fronte di quasi cinque milioni).

Inoltre ho l’impressione che nonostante la presenza dei Catalani ad Alghero, dei Tabarchini a Carloforte e nonostante le peculiarità anche linguistiche dei Galluresi, la Sardegna, forse a causa della sua maggiore isolatezza, sia rimasta più omogenea sia da un punto di vista culturale, sia da un punto di vista socio-antropologico.

Per contro, però, occorre sottolineare,  da un altro  punto di vista, che  la Sicilia ha giocato e gioca un ruolo politico più importante rispetto alla Sardegna (a discapito dei tre Presidenti della Repubblica che quest’ultima  ha saputo esprimere).

Credo che il motivo di questo più significativo ruolo che la Sicilia svolge a livello nazionale, non sia da attribuire  soltanto al   maggiore  peso elettorale  che essa esercita su Roma, ma risieda piuttosto nella capacità, tutta siciliana, di unire le forze e superare le diversità, in nome dell’interesse comune.

Per cui messe da parte  le antiche e le nuove rivalità, palermitani, catanesi, messinesi, siracusani e agrigentini, si ritrovano coalizzati a Roma nel nome del superiore interesse siciliano.

Laddove i Sardi, forse più chiusi e diffidenti, sicuramenti meno uniti e decisi dei Siciliani, non sono mai riusciti ad esprimere una fattiva unità d’intenti nei confronti di Roma.

Una dimostrazione emblematica ce l’abbiamo all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando i Siciliani si affrettarono con tempismo e capacità ad approvare il proprio Statuto Speciale (che non a caso delinea una specialità più marcata e incisiva rispetto a quello sardo), mentre i Sardi si divisero e litigarono  tra loro al punto che Emilio Lussu, quando lo Statuto vide finalmente la luce, lo definì “un gatto che sostituisce il leone che ci aspettavamo).

Adesso ci accomuna l’accusa, che proviene da un certo federalismo nordista di ultima e nuova matrice,  di essere due Regioni che vivono di assistenzialismo e di fannulloni annidati nel pubblico impiego.

Bella faccia tosta, dopo essersi aggregati al Regno Sardo-Piemontese e dopo che il riscatto della Italianità e la liberazione dal giogo straniero è partito proprio dalla Sicilia con Garibaldi e i Mille.